Onorevoli Colleghi! - La montagna, almeno quella priva di forti risorse turistiche, subisce da tempo una lenta erosione di popolazione residente e, quindi, di attività produttive: ciascuno dei due fenomeni alimenta l'altro. Una politica di contrasto, volta ad attrarre persone o quanto meno a trattenere i residenti, incontra ostacoli, tra l'altro, nel frazionamento delle proprietà montane e nella notevole quantità di terreni incolti e inutilizzati. Le forti migrazioni di un secolo fa, non seguite né dal ritorno dei migranti né dal subentro di altri familiari nelle colture, hanno determinato l'abbandono di vasti appezzamenti, spesso di pregio, e la susseguente polverizzazione formale della proprietà in una miriade di eredi, quasi sempre lontani e inattivi, spesso addirittura sconosciuti.
      Queste terre potrebbero essere utilizzate (specie con il supporto di incentivi,

 

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molti dei quali già previsti), se fosse possibile affidarle a persone che si impegnino a coltivarle, a insediarvi allevamenti, a installarvi piccole o medie attività produttive, delle quali la montagna ha grande bisogno. Ma ciò non è consentito dalla legislazione vigente perché, come è noto, l'espropriazione può avvenire solamente per «pubblica», e non per privata utilità. È quindi necessario intervenire con apposite norme di legge.
      Il quadro normativo in tema di limitazioni della proprietà privata è composito e ormai notevolmente articolato:

          a) l'articolo 42, terzo comma, della Costituzione stabilisce che «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale»
      Peraltro, l'articolo 44, primo comma, specifica che: «Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata (...) promuove (...) la ricostituzione delle unità produttive», ed al secondo comma aggiunge che: «La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane».
      Sembra quindi doversi concludere che: 1) la montagna ha una sua specificità, che non solo giustifica, ma impone delle deroghe alla disciplina generale; 2) l'esproprio delle terre private, a favore di privati, è una misura radicale che - sebbene esistano dei precedenti di notevole rilevanza - rischia di collidere con l'articolo 42 della Costituzione; 3) è però ammissibile l'imposizione di obblighi o di vincoli, quando essi sono funzionali al razionale sfruttamento del suolo;

          b) esistono disposizioni di legge che prevedono una forma coatta di acquisto della proprietà a favore di taluni soggetti privati che versino in particolari condizioni e assumano determinati obblighi.
      Un esempio si rinviene nell'articolo 849 del codice civile: «(...) il proprietario di terreni entro i quali sono compresi appezzamenti appartenenti ad altri, di estensione inferiore alla minima unità colturale, può domandare che gli sia trasferita la proprietà di questi ultimi, pagandone il prezzo, allo scopo di attuare una migliore sistemazione delle unità fondiarie».
      Un altro esempio è offerto dall'articolo 4, comma 1, della legge 31 gennaio 1994, n. 97 («Nuove disposizioni per le zone montane»): «Nei comuni montani, gli eredi considerati affittuari ai sensi dell'articolo 49 della legge 3 maggio 1982, n. 203, delle porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri coeredi, hanno diritto, alla scadenza del rapporto di affitto instauratosi per legge, all'acquisto della proprietà delle porzioni medesime, unitamente alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici». Il tutto a condizione che gli stessi si impegnino a condurre o a coltivare direttamente il fondo per almeno sei anni.
      In applicazione dell'articolo 13 della predetta legge n. 97 del 1994, il testo unico delle leggi sulla montagna, di cui alla legge della regione Piemonte 2 luglio 1999, n. 16, all'articolo 42, comma 1, «Al fine di favorire l'accesso dei giovani all'attività agricola, di evitare la frammentazione delle aziende agricole nelle zone montane, o di favorire operazioni di ricomposizione fondiaria», ha stabilito una priorità nel finanziamento degli anzidetti coeredi-affittuari che intendano acquistare le quote di proprietà altrui;

          c) un'altra norma che deroga espressamente ad una disposizione generale si rinviene nell'articolo 1159-bis del codice civile, introdotto dalla legge 10 maggio 1976, n. 346, rubricato «Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale»: esso abbrevia a quindici anni il tempo necessario per usucapire la proprietà dei fondi rustici e dei fabbricati annessi «in comuni classificati montani», e addirittura a soli cinque anni la durata del possesso per chi acquista in buona fede «a non domino»;

          d) devono essere inoltre considerate le numerose disposizioni che, a suo tempo, dettero luogo alla cosiddetta «riforma agraria» (tra le altre, la legge 12 maggio 1950, n. 230, e la legge 21 ottobre 1950, n. 841): in esse l'espropriazione fu bensì

 

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formalmente operata da enti pubblici di trasformazione fondiaria, ma a beneficio di singoli privati divenuti assegnatari con successivo trasferimento.

      Si ritiene pertanto che non sussistano ostacoli di natura costituzionale nel voler configurare una forma particolare di soggezione della proprietà privata in territorio montano a beneficio di altri privati.
      Anche ai fini che ci si propone è necessario che: 1) lo stato di abbandono sia adeguatamente accertato e si protragga da un tempo conveniente; 2) vi sia un aspirante utilizzatore del terreno, il quale si impegni a risiedere nel comune montano ed a svolgere ivi attività giovevoli alla comunità locale; 3) queste finalità di interesse generale siano vagliate e approvate da un ente pubblico.
      Non si ritiene, invece, necessaria una compensazione a favore del proprietario assoggettato, poiché l'articolo 44 della Costituzione, a differenza dell'articolo 42, non la richiede per soggezioni meno radicali dell'esproprio.
      Al riguardo, pertanto, si ritiene che il comune interessato:

          a) individui i terreni abbandonati o lasciati incolti da non meno di venti anni (il termine viene in tal modo a configurarsi come corrispondente e speculare a quello sancito per l'usucapione);

          b) ne dia notizia al proprietario, se conosciuto, o adeguata pubblicità nel caso opposto;

          c) renda noto l'intento di consentire l'utilizzo di tale fondo, nella forma dell'affitto a canone simbolico, a beneficio di coloro che proporranno di svolgere in esso un'attività agricola, di allevamento, artigianale, commerciale, di ricerca o di formazione;

          d) individui il beneficiario a seguito della presentazione di un progetto, che dovrà essere approvato dal comune stesso e dal competente assessore regionale;

          e) stabilisca che condizione essenziale per l'approvazione dovrà essere l'impegno del beneficiario a risiedere nel comune e a svolgere l'attività approvata per almeno sei anni.

      Deve essere inoltre previsto che:

          a) a questo tipo di attività si applicheranno i benefìci, gli incentivi e le agevolazioni disposti dalle norme di legge in vigore per favorire i territori montani;

          b) il canone di affitto, definito dal comune in ragione anche del suo interesse all'insediamento produttivo, sia consegnato agli aventi diritto, se conosciuti, ovvero tenuto a loro disposizione, se ignoti, per tre anni; se non reclamato entro tale termine, sia acquisito dal comune stesso;

          c) il beneficiario possa acquistare la proprietà del terreno decorsi quindici anni, nei quali abbia svolto ininterrottamente l'attività di interesse generale in forza della quale ottenne la disponibilità del bene o altra attività egualmente ritenuta di interesse generale per il territorio.

      La presente proposta di legge è l'esito di un confronto e di un'elaborazione dovuti soprattutto all'apporto di alcuni amici della montagna che in essa risiedono, la rappresentano e l'hanno rappresentata in Parlamento, nonché la interpretano nel ruolo di governo locale in quanto sindaci o amministratori locali di piccoli comuni montani o di comunità montane, ai quali va il ringraziamento dei proponenti.

 

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